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lunedì 7 giugno 2010

Una semplice analisi di un elettore

nota del 31 marzo 2010

Abbiamo perso, e questo è un fatto!
E’ stata una sconfitta su scala nazionale ma soprattutto abbiamo perso nel Lazio.
Possiamo trovare mille giustificazioni , ma una classe dirigente seria deve analizzare i risultati e cercare di valutare gli errori.
A mio avviso le responsabilità sono distribuite su tre livelli: nazionale, regionale e conduzione della campagna elettorale.

Per quanto riguarda il PD nazionale, nonostante la nuova dirigenza si sia insediata da quasi cinque mesi gli elettori e gli iscritti non hanno ancora capito qual’ è l’ Italia che vogliamo costruire e quale modello Paese stiamo perseguendo. Per ogni tema abbiamo mille posizioni diverse, non esistono solo le correnti ma addirittura ad ogni corrente corrisponde un programma.
Se prendiamo in considerazione l’unico partito che ha stravinto queste elezioni, la Lega, ci accorgiamo che il messaggio veicolato, per quanto non condivisibile, è semplice e chiaro. E’ vero noi siamo un partito federale ed è giusto così, ma le linee guida della dirigenza su materie importanti come, ad esempio, fisco, giustizia, sanità, legge elettorale dovrebbero arrivare in modo puntuale ed essere concrete e realistiche.

Per quanto riguarda la gestione politica del PD Lazio bisogna comunque tener conto che si partiva da una situazione di svantaggio reale in seguito alla nota vicenda Marrazzo che ha tolto credibilità all’intera giunta, che per altro aveva adottato una politica regionale mediocre.
a partenza in salita, però, non può giustificare la mancanza di coraggio dell’attuale classe dirigente. Anche nei momenti difficili, infatti, ci aspettiamo rispetto delle regole, coraggio e trasparenza.
Il rispetto delle regole, perché lo statuto prevede le primarie e il segretario aveva tutto il tempo per indirle , sia di coalizione che di partito ma la scelta politica è stata un’altra ed è sotto gli occhi di tutti il fallimento.
Il coraggio di individuare un candidato autorevole, che anche se sconfitto poteva rappresentare l’inizio di un cammino dignitoso verso la vera politica PD.
Il coraggio di presentare delle liste competitive, scontentando qualcuno ma prendendo delle decisioni a favore del partito e non delle mozioni e dei “potenti”. Per esempio a Roma per il nostro partito la scelta è stata la seguente: sono stati individuati alcuni nomi “forti” affiancati da candidati sconosciuti con il solo compito di riempire la lista senza disturbare i “predestinati”.
Le liste bloccate non sono l’unico modo di uccidere la democrazia; quello utilizzato dal PD Lazio è stato ancora più subdolo (ti fanno credere di scegliere ma non è vero).

Io da quando sono iscritto al PD ho seguito le ultime tre campagne elettorali (europee, primarie, regionali). A mio avviso questa volta il PD non ha fatto campagna elettorale, ha appaltato tutto ai singoli candidati, con i loro comitati elettorali e i loro sostenitori. Conseguenza naturale della mancanza di una cabina di regia sono stati gli eventi scoordinati e in contemporanea dove non si parlava di temi ma solo dei candidati. L’obiettivo non era convincere gli indecisi ma togliere i voti ai compagni di lista.

Ritengo insufficiente la campagna elettorale di Emma Bonino, ovviamente lei ha fatto i suoi interessi. La priorità del leader radicale è stata quella di dare la maggior visibilità possibile alle sue liste affrontando superficialmente o non divulgando correttamente i temi della regione.
Valutando i pessimi risultati ottenuti nelle province nasce sicuramente più di una domanda. A quanti comizi ha partecipato Emma in giro per la nostra Regione? Era necessario andare in Piemonte a pochi giorni dalle elezioni?

In alcuni momenti della campagna elettorale ho pensato che il Partito Democratico avesse già dato per perso il Lazio, ho avuto più volte la sensazione che l’obiettivo non era vincere ma piazzare il maggior numero di consiglieri uscenti.

Un ultimo appunto lo rivolgo ad Area Democratica che adesso alza la voce: dov’era quando si prendevano le decisioni? All’opposizione interna non si chiede di spartirsi gli incarichi ma di fare l’unica cosa che in democrazia compete alla minoranza: vigilare sul rispetto delle regole e denunciare qualsiasi comportamento contrario della maggioranza, arrivando anche alla mozione di sfiducia. Non si è fatto prima per poter chiedere il conto adesso.

Adesso non è ora della resa dei conti o della richiesta di dimissioni. Ritengo però doveroso un chiarimento politico da parte della classe dirigente del mio partito, che preveda sia l’ammissione della sconfitta che la spiegazione delle decisioni prese.

Concludo riportando una parte della lettera, oggi più attuale che mai, che abbiamo scritto un paio di settimane fa io ed Andrea Bellachioma
Molti di noi hanno la consapevolezza che l’idea di fondare il Partito Democratico sia stata, ed è tuttora, la strada che più di ogni altra può permetterci di avviare un percorso riformista destinato a durare negli anni ed in grado di dare vita alla classe dirigente di domani.
Questa consapevolezza, - per alcuni solo speranza - si scontra però con le tante inefficienze che attualmente impediscono al Partito Democratico di essere il motore del rinnovamento dello scenario politico e culturale italiano.
La classe dirigente del nostro partito non ha una linea coerente, non è in grado di comunicare con chiarezza le proprie idee. Quante volte, tutti noi, abbiamo ripetuto la frase “non abbiamo una strategia “?
La crisi del PD è la crisi della rappresentanza politica in Italia.
Il nostro impegno per il futuro sarà recuperare le parole chiave della democrazia: rappresentanza e partecipazione.
Ecco perché sentivamo l’esigenza di riunire donne ed uomini liberi, che si muovono senza le camicie di forza delle correnti di partito, animati da una comune sensibilità e dalla voglia di costruire proposte concrete per migliorare il Paese.

Ora è il momento di decidere come muoverci per attuare i nostri propositi.

Andrea De Filippis

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