Interessante nota di Michele Cardulli pubblicata sul suo profilo Facebook che cerco di sintetizzare
Uno sguardo alle amministrative.
“Il Pd, visto che in ogni Comune ha due o tre candidati contrapposti, vincerà comunque”.
Sembra un’esagerazione ma è una splendida fotografia della realtà. Non solo vi sfido a trovare uno schema di alleanza comune almeno nei comuni più importanti. Ma in realtà importanti abbiamo un pezzo di Pd schierato su un candidato, un altro pezzo su un altro. E quando restiamo uniti lo facciamo mettendo insieme coalizioni spesso impresentabili.
Succede in decine e decine di Comuni. Succede, come è del tutto evidente, nella più completa assenza degli organismi dirigenti regionali.
Ora, commissario Chiti, mi chiedo che senso abbia convocare la direzione regionale per ascoltare una inutile relazione del capogruppo Montino sulla bravura del gruppo Pd alla Pisana e non dire nulla sulle elezioni amministrative.
La verità, io credo, è che le elezioni amministrative sono state subappaltate al partito dei consiglieri regionali.
Il Pd è fatto così, inutile, nasconderlo. Del resto l’ho scritto tante volte. Una catena di comando che parte dai Comuni, nel caso romano dai municipi e si inerpica via salendo per i gradi della scala politica: assessori, consiglieri provinciali, regionali, parlamentari.
Il resto è folkore. Diciamolo chiaramente.
Proviamo a capire cosa succede nel PD laziale.
In un partito in cui la gestione del potere è essenzialmente funzionale al numero di amministratori che fanno capo a ciascuna delle bande in campo, le elezioni amministrative diventano non tanto il terreno di confronto democratico con il centro destra, ma la maniera per regolare i conti interni. E quindi la maggioranza tenta di cancellare gli avversari interni facendoli fuori fin dalla compilazione delle liste. E quando si esagera ecco che spuntano fuori i candidati sindaci alternativi.
La questione è sempre quella, la ricerca delle preferenze per continuare a legittimare il proprio potere personale.
Per questo, lo dico con orgoglio e, lo ammetto, anche un po’ di presunzione, ho chiesto nella scorsa legislatura di cambiare il sistema elettorale regionale trasformandolo in un maggioratario con collegi uninominali e primarie obbligatorie.
Non sarà la soluzione del problema, ma sicuramente almeno l'inizio della soluzione sta qua.
E ai tanti retori del rinnovamento dico ancora una volta che il rinnovamento non si fà in Parlamente, non si fa in Regione e in Provincia. Quando ti mettono un giovane in quei ruoli è solo per darti un contentino. Poi si scopre che il tal giovin deputato è figlio di tizio o fidanzato con sempronia. Il rinnovamento si fa nei circoli, nei municipi di Roma e nei Comuni del Lazio. Lì ci devono essere uomini liberi, altrimenti, come avviene in questo caso, la partita è persa.
Io temo, tanto ormai il ruolo di Cassandra del Pd del Lazio non me lo toglie nessuno, che questa volta saranno gli elettori a spazzarci via. E forse sarebbe anche giusto.
La situazione in Regione.
In tutto questo bailamme, ieri in serata, è stata approvata con l’astensione del gruppo del Pd (cinque presenti in aula, meno di un terzo del totale), una simpatica leggina sugli accreditamenti delle cliniche private e sulla trasformazione in Irccs della fondazione di Tor Vergata.
E’ materia complessa, per cui vado al sodo, prendendo a prestito le valutazioni di Giulia Rodano (Idv): “una vera e propria sanatoria, con tanto di norme ad hoc che consentono ad alcuni privati di derogare ai principi di riorganizzazione della rete che Renata Polverini ha imposto alla rete pubblica”.
Detto in parole ancora più semplici: nel pubblico si tagliano i posti nel letto, nel privato si potrà evitare. Se si fa il paio con le oltre 1.400 lettere di licenziamento mandate alcuni giorni fa da un noto imprenditore della sanità privata, Angelucci, il caso è risolto.
Da notare che quella del gruppo Angelucci è una tattica ormai nota: lo fa da sempre, almeno una volta a legislatura. Batte cassa, gli viene risposto picche, e allora ti manda due, trecento lavoratori sotto la Regione, un po’ di famiglie dei malati, batte la grancassa sui giornali di famiglia e poi spedisce qualche migliaio di lettere di licenziamento. Ha ceduto Storace, ha ceduto Marrazzo, ora cede anche la Polverini con una norma che si potrebbe definire “ad clinicam”. Noi ci asteniamo. Montino, che ad ogni seduta tuona sulle assenze della Polverini in aula quando si parla di sanità, è dato per disperso. In aula c’erano Mancini, D’Annibale, Dalia, Foschi e Perilli. Viene da chiedersi chi fosse lì per garantire il buon fine della legge e chi invece cercasse almeno di arginarne gli effetti. Vedete un po’ voi non è neanche troppo difficile. Basterebbe rendere pubblici i finanziamenti ricevuti per la campagna elettorale.
La vicenda, come è evidente, non c’entra nulla con le amministrative, ma rientra nello stesso modello di partito. In quale organismo dirigente si è discusso di questa legge? Almeno una telefonata a Chiti qualcuno l’avrà fatta?
La direzione romana
Ultima breve notazione sulla direzione romana. E’ arrivata ieri una simpatica convocazione per venerdì prossimo. Sono fortemente tentato di intervenire dicendo: “Salve vi trovo tutti un po’ invecchiati”. Dal congresso, infatti, è stata riunita una sola volta, pur essendo un organismo abbastanza snello, fatto di un centinaio di membri. Per le consuetudini del Pd il minimo indispensabile.
Leggo con curiosità l’ordine del giorno sperando di trovarci temi come la situazione dell’Atac, il sistema di aziende del campidoglio, la proposta di uscire dai Cda per non essere complici del disastro di Alemanno, sol per citarne alcuni. E invece trovo frasi vaghe da “verso la conferenza programmatica” a “iniziativa politica”. Insomma si preannuncia il solito esercizio di retorica, la solita passerella di poche decine di aficionados che usano il palchetto di Sant’Andrea delle Fratte per giustificare a loro stessi le ragioni della propria esistenza.
Ora, una cosa deve essere chiara: un partito come il nostro non può limitarsi a sit-in e fiaccolate. Mi è arrivato due giorni fa l’invito a un sit-in per il 20 maggio, per la serie “portamose avanti con il lavoro”.
Né possiamo permetterci un’altra conferenza programmatica finta, come quella dell’anno scorso, in cui invece di invitare esperti, intellettuali e forze sane di questa città a discutere insieme a noi, ci siamo divisi gli interventi in base alle percentuali congressuali.
Io vorrei un organismo dirigente romano che: intanto discutesse la linea politica del partito sui temi più rilevanti, insieme al gruppo comunale e non dopo; poi mettesse insieme un programma di appuntamenti che non siano le passerelle per capicorrente, capibanda. Né si può pensare a un partito dove a una segreteria pletorica viene sostituito una sorta di quadrumvirato (lascio a voi l'individuazione dei quadrumviri) a cui viene appaltata in esclusiva la “ciccia”, mentre gli altri fanno finta di esistere. E spesso ci riescono anche male.
Abbiamo nominato la direzione. Ci siamo anche inventati la funzione di presidente della direzione stessa, per accontentare di dalemiani di tipo A che mostravano segni di insofferenza. Bene, che venga convocata, che discuta e decida. Mica stiamo a smacchiare la pelle del giaguaro qua.
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