Pagine

lunedì 15 novembre 2010

Milano, prima svolta a sinistra

Il centro sinistra si è svegliato questa mattina con la notizia che a Milano le primarie per la candidatura a sindaco sono state vinte da Giuliano Pisapia.
Sarà l’avvocato dei grandi processi, da piazza Fontana a Tangentopoli e poi deputato eletto come indipendente nelle liste di Rifondazione, a sfidare Letizia Moratti e il Pdl a Milano la primavera prossima.
Quasi 70 mila milanesi hanno scelto il loro candidato sindaco e tra l’architetto Boeri, sostenuto dal Pd, e Pisapia, appoggiato da Sel e dal Prc, e la vittoria, anche se con poco scarto, è andata a quest’ultimo.

Per l’ennesima volta il candidato sostenuto dalla dirigenza del partito democratico è stato sconfitto dal concorrente maggiormente identificabile con la sinistra.

Premetto che sono orgoglioso del mio partito che ha nelle primarie lo strumento principe per la partecipazione degli elettori nelle scelte dei propri rappresentanti, ma ciò non mi esime dal cercare di capire il perché negli ultimi anni il PD sia sceso nei consensi dal 33% al 24% e i motivi per i quali, nella maggior parte dei casi, il nostro candidato per le primarie esca inesorabilmente sconfitto.

Come scrive Maltese su Repubblica “a Milano, come in Puglia e a Firenze, le candidature del Pd pagano l'ambiguità delle scelte o delle non scelte, la distanza crescente dei gruppi dirigenti dagli umori dell'elettorato”.
Infatti, Il susseguirsi di sconfitte , come ho già scritto in altre note, dipende dalla convinzione che solo alleandosi con il centro o scegliendo una persona tra i cosiddetti moderati, sia possibile vincere le elezioni.

Questa teoria è stata più volte sconfessata dagli elettori perché in questa corsa verso il centro il PD perde consensi in quanto molti che voterebbero un partito nettamente di sinistra, non trovano più nessuna motivazione e disertano le urne.
L’equazione, quindi, è molto più complicata: correre al centro converrebbe solo se i moderati “conquistati” superassero i propri elettori delusi.

Inoltre, i nostri dirigenti inseguendo il centro sono costretti ad elaborare un’agenda politica che consiste di fatto in un’azione di aggiustamento delle posizioni della destra, per moderare il tono più che invertirne la tendenza.
La mancanza di un’autonoma visione di società giusta e desiderabile, di un linguaggio o di un nucleo di ideali e valori riconoscibili dai nostri sostenitori e dagli avversari fa si che ogni volta che ci confrontiamo con un candidato maggiormente identificabile, destra o sinistra, perdiamo.

Questa paura di non essere percepiti come moderati ha fatto si che l’attuale PD abbia abbandonato i legami stabili e simbolici con i propri elettori e i cittadini trasformandosi soltanto un ceto politico autoreferenziale senza alcuna rappresentatività.

Affinché la sconfitta di Milano non sia inutile dobbiamo pretendere che i responsabili di quelle scelte facciano un passo in dietro. Non per astio o per vendetta ma perché un partito democratico che valorizza il merito e ascolta gli elettori deve far tesoro dei segnali provenienti dalle votazioni.

Non è più procrastinabile un rinnovamento dei nostri dirigenti e quale miglior momento se non una sconfitta elettorale, come succede in tutti i Paesi occidentali?

Nessun commento:

Posta un commento